Senza dubbio il 28 aprile è per Novara una tra le giornate più difficili di tutto il periodo post-insurrezione. Le esigenze operative avevano fatto sì che un numero consistente di partigiani venissero dislocati su Milano, e tali spostamenti verso il capoluogo lombardo erano iniziati già a partire dalla sera del giorno 26, lasciando la città senza un cordone di sicurezza. Ma non si trattava solo della mancanza di un numero adeguato di uomini in grado di garantire la sicurezza della città e il controllo del rispetto dei patti sottoscritti con i tedeschi, il vero problema era la sproporzione dell’armamento a disposizione tra le parti. Solo a titolo di esempio, nelle ultime fasi dell’insurrezione le formazioni partigiane cittadine potevano contare su 2.000 uomini e di questi solo 140 armati; mentre le formazioni territoriali, ovvero le sette brigate facenti parti del Comando Militare Valsesia, benché ben più numerose, erano dotate solo in minima parte di armamento pesante e idoneo ad essere usato contro i mezzi corazzati tedeschi. Il pomeriggio del 28 aprile un contingente del 15° SS Polizei (il reparto restio alla firma della “convenzione”), a conoscenza del transito di una colonna corazzata tedesca lungo l’autostrada, tentò di lasciare la città portandosi con mezzi blindati e carri armati verso il casello. La colonna fu bloccata sul cavalcavia della stazione dopo un durissimo scontro che costò la vita ad un partigiano e sei tedeschi.
Nelle stesse ore a pochi chilometri dalla città, nell’abitato di Castellazzo Novarese, una colonna con oltre un migliaio di repubblichini provenienti da Vercelli, nell’intento di raggiungere la Valtellina, era stata bloccata dai partigiani delle brigate Osella, Musati e Pizio Greta. I repubblichini con a capo il prefetto Morsero, si arresero solo il giorno successivo dopo lunghe trattative.