Ecco la pu.ntuale cronaca di Marco Travaglini sul primo dei tre viaggi della memoria, tappa conclusiva del progetto “Concorso Regionale di storia contemporanea”, svoltosi sul confine orientale dal 5 al 7 maggio 2017. Per noi ha partecipato, in qualità di storico accompagnatore, la docente potenziata in utilizzo presso la sezione didattica.

 

Dove “soffiano i venti della grande storia”

Gli studenti piemontesi a Trieste

Quarantatre ragazze e ragazzi tra i 16 e i 18 anni, accompagnati da dieci docenti e dalla prof.ssa Elena Mastretta dell’Istituto storico della Resistenza di Novara, hanno partecipato, da venerdì 5 a domenica 7 maggio, al viaggio studio di tre giorni a Trieste, vistando i luoghi della memoria del confine orientale italiano. Tredici studenti e tre insegnanti provenivano dal VCO: 9 dall’Enaip di Domodossola – accompagnati dai prof. Giuseppe Marras e Serena Scesa – e 4 del “Gobetti” di Omegna, accompagnati dalla prof. Carla Bonecchi. Il viaggio – il primo dei tre riservati agli studenti distintisi nella 36° edizione del progetto di Storia Contemporanea, promosso dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico regionale –  ha avuto come mete a Trieste la Risiera di San Sabba, la foiba di Basovizza e , nel Goriziano, il memoriale di Redipuglia, dedicato ai caduti della Prima guerra mondiale.

  

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Trieste, dalla “scontrosa grazia”

Trieste, città dalla “scontrosa grazia” – come la definì Umberto Saba -, è capoluogo della provincia più piccola d’Italia, con la sua striscia di terra stretta tra il Carso e il mare e fu – con Trento – una delle “culle”  dell’irredentismo, movimento che aspirava ad un’annessione della città all’Italia. Due dei suoi simboli, visitati dalla delegazione degli studenti piemontesi, sono la Piazza Unità d’Italia, pavimentata con pietre d’Istria, circondata per tre quarti dai palazzi dell’Ottocento mitteleuropeo e aperta sul mare del golfo triestino, e il molo Audace. Esattamente lì (al tempo in cui era ancora chiamato molo San Carlo), nell’estate del 1914 gettò l’ancora la corazzata austriaca Viribus Unitis, sbarcando le salme dell’Arciduca  Francesco Ferdinando e della moglie Sofia, morti in quell’attentato di Sarajevo ( il 28 giugno del ’14) che cambiò la storia del Novecento. Su quello stesso molo, il  3 novembre del 1918, alla fine della Prima guerra mondiale, attraccò la prima nave della Marina Italiana ad entrare nel porto di Trieste: era il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria. La Cattedrale di San Giusto, i caffè storici,  il castello di Miramare, il Faro della Vittoria, il porto vecchio e il Canal Grande : terra di confine e di scrittori ( Umberto Saba, Italo Svevo, Claudio Magris, Boris Pahor, James Joyce  che a Trieste – tra il 1905 e il 1917 –  completò la raccolta di racconti Gente di Dublino e scrisse alcuni capitoli della sua opera più famosa, l’Ulisse), Trieste riassume in sé l’intero confine orientale, dove da sempre soffiano i venti della grande storia, con il suo mosaico di mare, rilievi e altopiani , teatro di incontri e di scontri.

San Sabba, la Risiera che diventò campo di sterminio

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La visita alla Risiera di San Sabba suscita emozioni forti. Il grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso – costruito nel 1898 nel periferico rione di San Sabba – venne dapprima utilizzato dall’occupatore nazista come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 ( lo Stalag 339). Successivamente, verso la fine di ottobre di quell’anno, venne strutturato come Polizeihaftlager (campo di detenzione di polizia), destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia e al deposito dei beni razziati, sia alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei. Di fatto la Risiera è stato l’unico campo di sterminio nazista sul suolo italiano. Le porte e le pareti delle celle erano ricoperte di graffiti e scritte: l’occupazione dello stabilimento da parte delle truppe alleate, la successiva trasformazione in campo di raccolta di profughi, l’umidità e l’incuria le hanno quasi del tutto cancellate. Ne restano a testimonianza i diari dello studioso Diego de Henriquez (conservati nel “Civico Museo di guerra per la pace” a lui intitolato) con la loro accurata trascrizione. Nel cortile interno, proprio di fronte alle celle, sull’area oggi contrassegnata dalla piastra metallica, c’era l’edificio destinato alle eliminazioni – la cui sagoma è ancora visibile sul fabbricato centrale – con il forno crematorio. L’edificio e la connessa ciminiera vennero distrutti dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini. Quante furono le vittime? Si immagina tra le tre e le cinquemila anche se in numero ben maggiore sono stati i prigionieri e i ”rastrellati” passati dalla Risiera e da lì smistati nei lager di Dachau, Auschwitz, Mauthausen.

Basovizza, l’orrore delle foibe

La Foiba di Basovizza, dichiarata monumento nazionale nel 1992, è il simbolo delle atrocità commesse sul finire della seconda guerra mondiale e negli anni successivi dalle milizie di Tito. Pozzo minerario in disuso, nel maggio 1945 fu teatro di esecuzioni di civili e militari italiani, arrestati dalle truppe jugoslave d’occupazione.

Migliaia di persone vennero torturate e uccise a Trieste e nell’Istria controllata dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito. In gran parte vennero gettate dentro le foibe: voragini naturali disseminate sull’altipiano del Carso triestino e in Istria. Quella di Basovizza le rappresenta tutte, diventando nel tempo il principale memoriale – simbolo per i familiari degli infoibati e dei deportati deceduti nei campi di concentramento in Jugoslavia e delle associazioni degli italiani esuli dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, che qui ricordano le vittime delle violenze del 1943-1945. Dal 2008 il Sacrario è dotato anche di un Centro di Documentazione gestito dalla Lega Nazionale in collaborazione con il Comune di Trieste.

 

Il Sacrario di Redipuglia

Ultima meta, sulla strada del ritorno a Torino, il Sacrario di Redipuglia , il più grande e maestoso “parco della Rimembranza” dedicato ai caduti della Grande Guerra. Redipuglia , il cui toponimo deriva dallo sloveno “sredij polije” (“terra di mezzo”), si trova nella provincia di Gorizia,  sul versante occidentale del monte Sei Busi e sorge nei luoghi dove , durante la Prima Guerra Mondiale, si svolsero le violentissime battaglie dell’Isonzo. Inaugurato il 18 settembre 1938, dopo dieci anni di lavori, l’opera –  conosciuta anche come  Sacrario “dei Centomila” – custodisce i resti di 100.187 soldati caduti nelle zone circostanti, in parte già sepolti inizialmente sull’antistante Colle di Sant’Elia. Fortemente voluto dal regime fascista, il sacrario celebra il sacrificio dei caduti e offre degna sepoltura a coloro che non avevano trovato spazio nel cimitero degli Invitti. Una  struttura imponente,  composta da tre livelli di gradoni , sormontata da tre croci  che richiamano l’immagine del Golgota e la crocifissione di Cristo. Circondato dai cipressi e dai prati  attraversati dai sentieri che passano accanto alle opere militari (camminamenti, caverne, trincee, postazioni per mitragliatrici e mortai) offre una testimonianza della linea difensiva realizzata prima dagli austriaci e poi conquistata dagli italiani.

Marco Travaglini

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