presentazione
il sentiero Beltrami
- Presentazione - Il Sentiero Beltrami
- Dall'antifascismo alla Resistenza Filippo Maria Beltrami il "signore dei ribelli"
- La nascita delle prime formazioni partigiane nel Verbano Cusio Ossola
- Luoghi, protagonisti, azioni della Brigata Patrioti Valstrona da Quarna a Megolo
- Varie
- La Stampa
- Canzoni e Poesie
- Il Bollettino militare della Formazione F. Beltrami
- Il Nemico
- Ezio Maria Gray
- Enrico Vezzalini
- Apparati
il sentiero Chiovini
la repubblica partigiana dell'Ossola
apparati
crediti redazionali
Istituto storico della resistenza e della società contemporanea Pietro Fornara
la memoria delle alpi
"La Stampa"

   Le imprese del Capitano Beltrami e dei suoi uomini valicarono i confini del Cusio finendo sui giornali fascisti dell'epoca. L'articolo del 29 dicembre 1943, pubblicato su "La Stampa" di Torino, a firma di Concetto Pettinato, allora direttore del quotidiano piemontese¹, è sintomatico dell'immagine che si voleva dare del movimento partigiano, assimilato al brigantaggio nell'Italia meridionale postunitaria. L'autore del pezzo tende a ridicolizzare i partigiani paragonandoli a dei Robin Hood e Zorro meno eroici, a degli illusi se non addirittura a dei semplici rapinatori. Particolari di notevole interesse sono la citazione al movimento partigiano jugoslavo e la rappresentazione della moglie di Beltrami.

   I CAVALIERI DELLA MACCHIA

  C'è chi li chiama ribelli, c'è chi li chiama partigiani, c'è chi li chiama, nientemeno patrioti. Il nome poco importa. La cosa, però, è grave e importa moltissimo. Non possiamo stendere veli su una delle più brutte piaghe del momento. I camerati tedeschi hanno proceduto in materia a qualche operazione rapida, energica e coronata da successo. Ma si tratta di imprese incresciose, che rientrerebbero nel novero degli ordinari compiti di polizia e che dovremmo essere o metterci in grado di assolvere al più presto da noi, con forze nazionali. Ieri le avremmo affidate senz'altro ai Carabinieri, i quali le avrebbero disimpegnate con l'accortezza, la pazienza e lo spirito di sacrificio ch'erano stati sempre, sin qui, il loro vanto. Oggi il destino dell'arma è subjudice, e non pare del resto che il concorso da essa dato all'opera di repressione in discorso sia staio fin qui dei più calorosi né dei più proficui. Dobbiamo imputare questa mancanza di entusiasmo a uh disorientamento morale o a una diffidenza di massima seguiti al colpo di Stato del 25 luglio? E' essa invece il prodotto di uno stato d'animo più preciso nei riguardi delle bande da sopprimere? Difficile dirlo. Quello che ci sembra ovvio, in attesa che il delicato problema dei C.C. venga chiarito e liquidato per il meglio, è l'urgenza di sfatare l'aureola che si è tentato creare, e sino a un certo punto si è creata, intorno ai latitanti della montagna.
  Diciamo subito che scrivere "montagna" non è ormai più tanto esatto, giacché a poco a poco, col crescere dei rigori invernali, la montagna propende a diventare collina e la collina tradisce una non equivoca inclinazione a mutarsi in pianura. Ci affrettiamo però ad avvenire che se le bande tendono a scendere al piano, tendono anche a liquefarsi. L'una cosa compensa l'altra, e potremmo anzi aggiungere che un avversario il quale si avvicina nel tempo stesso che s'indebolisce è un avversario il quale facilita, sia pur senza farlo apposta, il compito di chi deve combatterlo.
  Lo facilita per ragioni militari evidenti, e lo facilita anche per una ragione morale. Se i "cavalieri della macchia" vedono sfaldarsi i propri effettivi è, infatti, perché a poco per volta nelle loro file si effettua una discriminazione. I migliori, i sinceri, i patrioti se ne vanno. Restano gli altri. Ora è proprio il fatto che "restino gli altri" quello che deve, prima o poi - e speriamo piuttosto prima che poi - convincere la grande folla dei sentimentali o dei gonzi pronti a farsi succubi e coadiutori di tutte le favole messe in giro da chi ha interesse a impedirci di risorgere, che le loro segrete simpatie sono state mal collocate e che la loro buona fede è stata sorpresa ne più ne meno di quella degli uomini che ora lasciano, a gruppi, la macchia per tornarsene a casa.
  Nelle regioni limitrofe alla zona alpina, dal Canavese al Biellese e al Varesotto, gli occhi comincia-no ad aprirsi. Cominciano ad aprirsi, a quanto crediamo sapere, anche nel mondo dei combattenti, quelli veri, sin qui in parte irresoluti ed esitanti, in omaggio al sentimentalismo di cui sopra e forse a un eccesso di pregiudiziali politiche, ma oggi consci, finalmente, che nell'ora del pericolo l'interesse della patria passa avanti a tutto, e impazienti di menar le mani. Bisogna, tuttavia, disingannare al più presto anche quella parte della popolazione la quale, non avendo ancora mai avuto a che fare, per sua ventura, coi "cavalieri della macchia" e non avendo mai assistito alle loro gesta, piglia come oro di coppella tutto quanto si narra sul loro conto dagli emissari interessati e ha persino la dabbenaggine di andare attorno di nascosto per le case a raccogliere quattrini e indumenti di lana per spedirli ai presunti eroi.
  I presunti eroi non hanno davvero fatto nulla ne fanno ne faranno mai nulla che possa meritar loro tale qualifica. Si sono vantati di aver preso la macchia per combattere i Tedeschi. Ma la loro preoccupazione principale è, salvo errore, quella di evitare di incontrarne. Questi baldi giovanotti, che all'estero la stampa ligia al nemico dipinge come un piccolo esercito - qualcuno farnetica addirittura di trecentocinquantamila uomini, infaticabili nello spingere puntate offensive e nel compiere scorrerie alle spalle delle forze del Reich -, per poco che si imbatta in un reparto germanico non ha nulla di più caro del darsela a gambe. A Graglia, per citare un nome fra tanti, quindici membri delle S.S. sono bastati a mettere in fuga un grosso nucleo di quei fulmini di guerra. A Borgosesia altri dei loro hanno alzati i tacchi anche di fronte a un modesto reparto di militi nazionali. Il genere di spedizioni in cui rifulgono i nostri Robin Hood meticciati di Wallenstein è l'assalto dei villaggi indifesi, il sacco dei magazzini incustoditi, la cattura degli autocarri carichi sulle strade di campagna, la grassazione spicciola e il furto a mano armata.
  Non nego che queste Spedizioni siano talora allietate da una vaga spolveratura romantica, o romanzesca che dir si voglia. In Val d'Ossola ci e stata segnalata la presenza di un artista lombardo, una specie di Innominato, parente di un noto architetto, il quale alla testa di poche centinaia di bravi si dà le arie di governare il paese e all'occorrenza di "proteggerlo", spedisce bandi e ukase a dritta e a manca e si fa dar man forte dalla moglie che scorrazza sola pei monti in automobile, chiome al vento e pipa fra i denti, con un fucile mitragliatore a portata di braccio. Altrove il tono della musica è nettamente comunista, come là dove impera il divo Moscatello, che la voce pubblica pretende giunto da Mosca in aeroplano per insegnare ai nostri le più recenti ricette sovietiche per la conquista del potere. In altri luoghi, e i giornali segnalano un caso del genere anche a Rivalba di Gassino, gli aggressori entrano a rubare nelle case di pieno giorno con tanto di maschera sul volto come nelle pellicole americane sul Segno di Zorro. Sono gli effetti del contagio radiofonico e cinematografico. Senonchè, in tutti questi sedicenti "fatti d'arme" l'elemento brigantesco tende a soverchiare ogni giorno meglio quell'altro.
  Che dire, per esempio, di episodi come quello di Borgosesia dove, dopo esser venuti a "prelevare" trenta tende militari col pretesto di difendere i "patrioti" dai rigori dell'addiaccio, le tende vennero metodicamente tagliate a pezzi dagli autori del prelevamento e vendute a metro al mercato nero? Che dire dello scempio di quel villaggio di Val Susa dove trentasette altri "patrioti", per vendicarsi di un ufficiale del distretto di Torino, reo di aver disertato la macchia per ripigliare servizio nell'esercito, gli devastarono la casa e gli violarono, l'un dopo l'altro, la sorella come autentici australiani, sotto gli occhi della madre pazza di dolore?
  Chi dice bande dice, ahimè, banditi! E se fosse questo, ormai, il solo nome degno dei cavalieri della macchia? Per trapassi insensibili, quella che doveva essere lotta in nome di un ideale, sia pur falso e sciagurato, diventa puro brigantaggio. Intanto, quel ch'è peggio, dalla macchia il cattivo esempio dilaga fra i delinquenti comuni. A Rivoli ogni sera, durante la prima metà di dicembre, le operaie che rincasavano venivano aggredite e derubate per via. A Meda un gruppo di automobilisti scortato da un autocarro da l'assalto alla dimora d'un negoziante di pelliccerie e porta via ottocentomila lire di mercé. A Lainate un drappello d'altri malviventi, di cui l'uno travestito da commissario di polizia, ferma un carrettiere e lo alleggerisce di quindici quintali di lamiera e di una ventina di pneumatici. In una cascina della stessa regione altri malandrini, camuffati da marescialli dei carabi-nieri, fanno man bassa su mezzo milione di roba. Che dire di più? E' la moda del giorno, le cri du jour. In altri tempi per ostentare il proprio patriottismo si portava una coccarda. Oggi si ruba. Ieri si gridava: "O Roma o morte!". Oggi si grida: "O la borsa o la vita". Lo pretendono un sintomo di ri-nascita nazionale. Sono le ultime fasi del disfacimento di un esercito tradito e abbandonato dai capi, del quale gli elementi migliori, per nostra ventura, esulano a poco a poco per formare un nuovo e-sercito. Ad essere indulgenti, il massimo onore accordabile a questi cavalieri della macchia consisterebbe nel paragonarli ai briganti che intorno al Sessanta facevano le fucilate nell'Italia meridionale per la restaurazione del Borbone che li pagava e pel fallimento dell'unità. Chi paghi i nuovi briganti non vogliamo saperlo, anche per non far dispiacere a certi industriali. Non è impossibile che non li paghi nessuno, visto che le rapine sono un modo di pagarsi da sé. Ma il senso del fenomeno è su per giù quello d'allora, e non sarebbe forse difficile sostenere che è anche peggiore, se teniamo presente quanto è accaduto in Jugoslavia, dove la lotta contro l'Asse cominciò col generale Mihailovic, partigiano degli anglo-americani, ed è finita con Tito, uomo di fiducia di Mosca.
  In Italia, a lasciarli fare, i cavalieri della macchia preparerebbero il letto a un nuovo Tito. Ci pensi chi avesse l'ingenuità di tener loro bordone nell'illusione di preparare il restauro dell'onnipotenza borghese contro una repubblica che, a dispetto di tutto, speriamo sarà domani il regime del popolo onesto e lavoratore in un'Italia libera.

Concetto Pettinato

   
   All'articolo del quotidiano torinese rispose ironicamente lo stesso Capitano con questa lettera:

   Egregio Signor Pettinato,
con vivo interesse ho letto l'articolo che "LA STAMPA" di ieri ha pubblicato sulla nostra attività di "cavalieri della macchia". Veramente non credevo di meritare l'onore di una prima pagina, essendomi finora accontentato di rari e modesti accenni alla mia attività di architetto nella cronaca del "Corriere".
  Ma si vede che i tempi sono maturi per la creazione dei miti e, in mancanza di miti fascisti, dei miti dei Patrioti.
  Così mi pare che in questo fantasioso Walhalla io debba essere rappresentato come un fosco innominato, io che non ho mai cercato l'anonimo, ma, quel che e peggio, mia moglie debba figurare sotto l'aspetto di una prepotente virago, avvolta nei nembi maleodoranti di una fumosa pipa.
  Quale soggètto per un risorto Wagner e quale tema di sipario teatrale per un rinato Appiani!
  Ma qui sorge spontaneo un dubbio: se tale è la deformazione della verità storica (mi perdonino i miei colleghi patrioti l'abusato aggettivo) le famose Walkirie non saranno state per caso delle timide vergini avviate al mercato paesano su tranquilli asinelli!, e il sommo Wotan un pacifico padre di famiglia preoccupato solo dell'andamento delle colture della sua tedesca azienda agricola modello?
  Gli è che la professione di giornalista è vecchia quanto è vecchio il mondo, e i Concetto Pettinato sono sempre esistiti, leggendari cantori di fole alla mensa dei loro prepotenti signori. Peccato che l'abisso morale che ci divide non mi acconsenta di accoglierla fra i miei numerosi seguaci, perché mi cantasse con melodica voce, magari in versi, le mie gesta passate e presenti, e quel che più conta, data la sua fervida immaginazione, future.
  Cordiali saluti

F.to F. Beltrami





1 L'altro quotidiano, "La Gazzetta del Popolo", fu affidato dalle autorità a Ezio Maria Gray.



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