presentazione
il sentiero Beltrami
il sentiero Chiovini
- Presentazione - Il Sentiero Chiovini
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- G. Cella, L'imboscata di Portaiola
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Istituto storico della resistenza e della società contemporanea Pietro Fornara
la memoria delle alpi
L'imboscata di Portaiola

Il mattino del 19 eravamo di nuovo in marcia per canaloni nevosi e passaggi rocciosi, compiendo vere acrobazie sull'orlo di burroni dove un passo falso voleva dire sparire per sempre; si giunse di nuovo alla bocchetta di Campo, ma data l'inospitabilità del rifugio alpino, dovemmo passare un'altra notte all'aperto. In quella stessa notte sentimmo un ronzio di velivoli: erano gli aerei alleati che, oltre alle armi e ai viveri, lanciarono un piccolo gruppo di uomini. Era la missione alleata Pieri Strauss che evidentemente non sapeva del rastrellamento; uno dei componenti, durante l'atterraggio, rimase ferito dai fili di una teleferica e con gli altri due si salvò miracolosamente.
Il nostro comandante era molto contrariato perché nella zona dove eravamo non si trovavano che pochi sterpi e non si potevano accendere i fuochi di segnalazione. Dopo una notte insonne a causa di quegli aerei perché sapemmo soltanto dopo il rastrellamento della missione paracadutata ci incamminammo di nuovo verso la Portaiola, nella speranza di trovare cibo e ristoro.
Scendevamo in fila indiana per un costone, quando in prossimità delle baite ci investì un micidiale fuoco di mitragliatrici: era un'imboscata!
Il nostro gruppo di testa, composto dalla squadra mitraglieri (tutti ragazzi di Varese, Busto Arsizio e Samarate), dal maggiore Superti e dai Vigorelli, cercò disperatamente, rispondendo al fuoco, di passare il ruscello, ma l'attendente Barbaini, uno dei fratelli Vigorelli e altri caddero colpiti, mentre Superti e tre o quattro ancora poterono sganciarsi e mettersi in salvo disperdendosi.
lo che ero uno degli ultimi della colonna, visti cadere parecchi compagni falciati dalle raffiche e a mia volta travolto dai superstiti che retrocedevano, pur di non cadere vivo in mano dei tedeschi, mi gettai rotolando per una ripidissima scarpata; poteva essere la fine ma fui assistito dalla fortuna e caddi in una pozza del ruscello. L'acqua attutì la mia caduta e mentre infuriava la sparatoria, sebbene intontito e quasi privo di forze, mi aggrappai disperatamente a un masso e cominciai a salire la sponda opposta. Ero scorticato in molte parti del corpo e quasi esausto, ma la volontà di levarmi da quella situazione mi diede la forza di risalire e di scomparire nel bosco; per fortuna nella caduta non avevo rotta né perduta la stampella, altrimenti la situazione sarebbe diventata tragica per me.
Da quel mattino fino al 23 giugno vagai disperatamente solo, ferito, lacero e affamato, tanto che mangiai anche erba per placare la fame atroce che mi attanagliava lo stomaco e per due giorni non riuscii nemmeno a trovare acqua per dissetarmi. La stanchezza era infinita, dovevo strisciare perché non avevo più la forza di reggermi in piedi; sentivo come in un sogno una dolce musica negli orecchi e mi abbandonavo al torpore dell'incoscienza.

Gianni Cella
Testimonianza in CHIOVINI N. Val Grande partigiana e dintorni Comune di Verbania, Comitato della Resistenza, 1980

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