All'alba del 12 giugno
All'alba dei 12 giugno 1944 una in tera divisione tedesca, la "Barbarossa", ingrossata da numerose brigate di camicie nere, dopo aver bloccato tutto il traffico lacustre, ferroviario e stradale nella zona compresa tra il quadrilate ro Valmara - Pallanza - Masera - Vigezzo - Cento Valli, dopo aver piazzato centinaia di carri armati ed autoblindo a cento metri uno dall'altro lungo tutto il perimetro della zona e mentre truppe alpine manovravano per occupare i passi dei confine svizzero, attaccava da ogni lato i 400 partigiani che, già da mesi, si battevano eroicamente abbarbicati nelle rocce e nelle valli di quella impervia zona.
Erano i falchi della Valgrande di In tra, erano gli audaci della Marona e dello Zeda. Ne sapevano qualcosa i
presidi tedeschi e fascisti della spon da Ovest dei Lago Maggiore, ne avevano provato il mordente quelli dei fortini di Fondotoce di Verbania, quelli della Valdossola, su fino a Pontemanlio di Crevadossola e quelli della Vai Cannobina e della Vai Vigezzo. Le azioni di quel pugno di uomini sono ben note ai Valligiani ed i nomi dei comandanti correvano di bocca in bocca: Superti, "Mario", "Arca", Flaim, Rizzato, "Rolando", l'infermiera Maria venivano pronunciati sottovoce, con venerazione, con speranza ed orgoglio e le gesta di quegli uomini assu mevano, nella fantasia popolare, proporzioni gigantesche fino al punto che il nemico ed i popolani davano per certo che almeno 5.000 uomini fossero annidati nelle aspre valli che solcavano la zona.
Erano solo 400 e non più di 300 ar mati alla meno peggio; poche le armi pesanti tutte catturate al nemico.
V'erano in infermeria una ventina di feriti ed ammalati, v'erano inoltre nel cuore dell'orrida Valgrande, all'Orfa lecchio, una cinquantina di prigionieri nemici... che nelle nostre intenzioni (forse per nascondere la ripugnanza di "far fuori") tenevamo con noi per scambi con eventuali partigiani catturati; al momento buono però molti di e essi non volevano più saperne di tornare giù ed allora... restavano a fare i partigiani.
Alle 6 dei mattino dei 12, saltato il ponte Casletto, aveva inizio la grande eroica tragedia.
Uno contro cinquanta! Moschetti con tro cannoni e mortai, Mitra e Sten contro mitragliatrici pesanti a centinaia mentre gli aerei solcavano minacciosi il cielo mitragliando e spezzonando.
Dal campo sportivo di Intra una batteria di 149 mm. martellava le creste e le valli. Largo impiego di materiale incendiario che trasformava in enormi roghi le selve secche ed arse dalla siccità. Si combatté durante tutto il giorno 12, i nostri guastatori fecero saltare il ponte di Velina quando già il nemico vi affluiva. In tutti i sentieri serpeggia no interminabili file di uomini che avanzavano minacciosi da ogni lato, protetti da un fuoco infernale. Si battono da leoni i 400 partigiani sparsi nella zona, dovunque attaccati e da forze poderose di uomini e mezzi.
Ogni caduto è immediatamente sostituito da un disarmato, roccia per roccia è difesa con estremo accanimento. Il nemico subisce perdite sanguinose; i sentieri nel punti di passaggio obbligato, sono stati minati con potenti cariche di 808 dell'ultimo lancio e le esplosioni scaraventano uomini ed armi nei sottostanti burroni e un rovinio di rocce divelte.
Diciassette ore di lotta accanita e furibonda; tutta la Valgrande sembra un enorme vulcano; bruciano boschi e baite, le esplosioni proiettano nel cielo, tra scintille e nembi di fumo nero, tronchi ed abeti.
Poi scende la prima notte, mentre i 200 uomini della Valgrande sfilano in lunga fila indiana, dalla infernale fornace verso Corte dei Bosco per sottrarsi all'accerchiamento. E per due volte, nei successivi terribili giorni 13, 14 e 15, riescono a sgusciare tra le maglie della rete che da ogni lato si stringe inesorabilmente.
Sono giorni oscuri di sanguinose e feroci lotte; Val Grande, Val Portaiola, Bocchetta di Terza, Bocchetta di Campo, Pian Cavallone; Monte Marona, Monte Zeda, Pian Vadà, Col di Biogna, Vai di Viccio, tutte località arrossate di abbondante, generoso sangue partigiano. Poi stretti ormai in un nuovo cerchio di acciaio e di fuoco sui bordi dei Rio Fiume, i superstiti (un centinaio), affamati, affranti, sanguinanti, dopo una eroica silenziosa marcia nelle più fitte tenebre e sotto l'imperversare della tempesta, tra burroni e canaloni franati, sbucano a Pian di Sale alle prime luci dell'alba dei 17 giugno. Una breve sosta: passa il comandante, cap. "Mario" tra gli uomini schierati a ventaglio sotto gli abeti, passa il commissario di guerra "Michele" (Mario Venanzi): "Ragazzi, ricordatevi: o si passa o si muore."
Poi... "Avanti Valgrande".
E' tutto un tuonare e un crepitare apocalittico; i fortini in cemento armato da cui escono tremolanti fiammelle squassati dalle granate introdotte nelle feritoie, tacciono ad uno ad uno. Il varco è aperto. Pochi superstiti lo passano: una sessantina, la maggior parte di essi ferita. Trentacinque sconfinano in Svizzera, gli altri sostengono un ultimo sanguinoso combattimento sotto la tempesta, all'Alpe di Polunia e poi... dal 18 al 29, l'agonia, la fame che uccide...
Quanti i catturati feriti o fuori coscienza? Il comunicato trionfante dei Gran Quartiere Generale parla di oltre 200, compresi i caduti. Le perdite nemiche passano di parecchio i mille uomini.
La Brigata non ha più soldà...
Tutti i catturati meno nove deportati in Germania e di cui solo due ritorneranno furono massacrati sul posto o a gruppi. Inorriditi, i valligiani di Finero, Pogallo, Baveno, Beura, Trarego, Fondotoce dovettero assistere agli orrendi massacri di quei miseri corpi straziati dalle sevizie, il cui ultimo grido fu il grido della fede per cui lasciavano la vita.
Mario Muneghina
In "La stella alpina" numero unico per il 2 giugno, 2 giugno 1950.
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