All'alpe Straolgio
Il gruppo dei Vigorelli è ormai già lontano e io con sei sette uomini non ho altra soluzione che abbandonare in fretta una zona che sarà presto minuziosamente rastrellata dal nemico. Risalgo la montagna per portarmi in un punto di osservazione che mi permetta di orientarmi. Dopo molto peregrinare, dopo aver sentito più di una volta passare pattuglie tedesche a pochi passi da noi, arriviamo in vista di un gruppo di baite chiamato Alpe Straolgio e finalmente ci è possibile accendere un po' di fuoco; con me ci sono oltre a Barbaini e a Gaetano Covili, Piero Mezzasalma, Carlo Broglia, Serafino Paternoster, due prigionieri fascisti e un ragazzo di Varese di cui non ricordo il nome. All'alba del 21 giugno (quinto giorno di digiuno) entra nella baita un mio partigiano che aveva perso il contatto con la colonna del capitano "Mario". E' Mario Pezzotti, detto "Scalabrino", che mi porta le notizie di quella colonna; mi dice che durante il passaggio dello stradale sopra Finero, verso la Svizzera, "Mario", l'infermiera Maria e molti, molti altri sono stati uccisi e che lui stesso si è miracolosamente salvato dal massacro di tutta la formazione. Questa notizia giunge proprio nel momento in cui ho bisogno di tutte le mie forze per portare i miei ormai pochi compagni a salvamento.
Ordino che tutti si preparino a partire, perché la località mi sembra poco sicura ed è molto pericoloso indugiarsi in valle; purtroppo i ragazzi sono esausti per l'ormai lungo digiuno e si attardano nei preparativi, cosicché a un certo punto ritengo che sia tardi per porsi in cammino; dispongo quindi che tutti si sparpaglino e si nascondano tra i cespugli: bisogna in queste condizioni passare almeno tutta la mattinata. Mentre altri escono dalla baita per cercare un luogo propizio, i mi dirigo con il ragazzo di Varese e con Covili verso un masso dietro cui ci sdraiamo; il Covili ricorda di aver dimenticato qualcosa nella baita e ritorna sui suoi passi. Pochi minuti dopo vediamo parecchie persone con abiti borghesi dirigersi verso le baite, mentre poco dopo compaiono i soldati tedeschi che aprono il fuoco contro le baite, i cespugli e i massi. In breve tempo tutta la località brulica di soldati tedeschi, mentre i borghesi travestiti da alpigiani si rivelano militi fascisti. A pochi passi dal luogo in cui sono nascosto viene piazzata una mitragliatrice che apre il fuoco contro la baita ove Barbaini, Covili e "Scalabrino" si sono rifugiati. Impotente, dal mio nascondiglio vedo cadere Barbaini, che un istante prima di essere colpito spara a bruciapelo contro un tedesco che cade riverso. Sono impossibilitato a muovermi e portare aiuto; dentro il mio nascondiglio che ormai non può essere che la mia tomba e quella del mio giovane compagno, estraggo la rivoltella per sparare e spararmi appena sarò scoperto. In questa posizione, senza sapere quel che è successo ai miei compagni, trascorro parecchie ore durante le quali sento i tedeschi vicino a me parlare, consumare il rancio e cantare. Finalmente (sarà quasi l'una del pomeriggio) sento dei comandi in tedesco, poi i passi sulle rocce allontanarsi e affievolirsi: sono salvo, ma non so ancora a quale prezzo.
Attendo ancora un po' e verso le tre esco dal mio nascondiglio; trovo la salma di Barbaini che compongo come posso e con il mio giovane compagno mi metto in cammino scendendo lungo un canalone; a sera sostiamo e passiamo la notte sotto la pioggia, senza coperte, attendendo l'alba, pensando ai nostri compagni e a ciò che ci sarà dato di vivere ancora nei giorni futuri. All'alba del giorno 22 (sesto giorno di digiuno) riprendiamo il cammino; percorriamo in lungo e in largo la Valle Rossa senza trovare traccia di possibili aiuti; si distinguono in lontananza gli alpeggi pieni di soldati tedeschi. Torniamo sulla Costa dei Riazzoli dove a un certo punto scopro tracce del passaggio di partigiani; le seguo e arrivo in un luogo in fondo a un burrone dove scopro la salma di Bruno Vigorelli. Torno dove avevo lasciato il mio compagno e riprendiamo il cammino; vedo in lontananza Alpe Casarolo che mi sembra deserta, ma è impossibile raggiungerla, perché da essa siamo separati da un presidio tedesco che non è possibile evitare.
Vaghiamo ancora per la montagna fino a tarda sera, infine ci adattiamo a passare la notte in piedi, addossati a una pianta; piove da diversi giorni, abbiamo gli abiti completamente inzuppati e le nostre scarpe sono ormai inservibili. Prima dell'alba del 23 riprendiamo il cammino, ma il mio compagno, ormai esausto, deve essere sorretto; dopo sette giorni di digiuno le forze cominciano a mancare. Quando non è ancora giorno prendiamo a scendere attraverso difficili passaggi, rotolando più che camminare, ma si deve approfittare del buio, perché per uscire da questa zona bisogna passare tra due punti, uno guardato dai fascisti e l'altro dai tedeschi, distanti poche centinaia di metri l'uno dall'altro; finalmente riusciamo a passare e a risalire la montagna di fronte a noi.
Mi rendo conto che oggi sarà o la salvezza o la fine. Passando per un prato troviamo delle fragole, primo alimento dopo otto giorni di digiuno. Nel frattempo si alza un caldo sole, cosicché possiamo spogliarci, far asciugare gli abiti e riposare; tutto ciò ci da la sensazione che forse siamo vicini alla salvezza. Dopo qualche ora, finalmente riscaldati e con gli indumenti asciutti, riprendo il cammino sorreggendo il mio compagno orinai sfinito. Giungiamo all'Alpe Casarolo e scopriamo l'eccidio compiuto evidentemente da poco dai tedeschi; riconosco il corpo di Adolfo Vigorelli accanto a quelli di altri, tutti sfigurati da scariche di mitra in faccia. Con animo straziato riprendiamo la marcia e verso sera giungiamo a un alpeggio che ritengo sicuro (l'Alpe Crot di Sotto ndr).
DIONIGI SUPERTI Relazione sul rastrellamento del giugno 1944
In CHIOVINI N. Val Grande partigiana e dintorni Comune di Verbania, Comitato della Resistenza, 1980
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