Otto uomini, sette fucili!
La mattina del 16 giugno 1944, la squadra che aveva fermato i tedeschi al Vadà giunge all'imboccatura della mulattiera, dove erano alcuni uomini dì un posto di avvistamento. Bisogna uscire dal tiro dei tedeschi alle calcagna, prima che arrivino all'imboccatura, perché la mulattiera scende a piombo come la tromba di una scala e non porta lontano.
Gli uomini di testa girano il costone dello Zeda sotto le prime raffiche dei tedeschi ormai pìazzati; gli ultimi, appena oltrepassate le baite del Fornà sentono che non si può proseguire.
Si piazzano così come la mitraglia li ha sparsi e guardano il nemico.
Guardano ancora una volta dove la mitraglia e il mortaio lasciano in pace la terra: è lontano, dietro la terra che fuma e che spruzza.
Il nemico ha formato la trappola: spara dalla strada e scende dalla mulattiera, ha chiuso alle spalle e spinge di fronte.
Gli uomini pensano, ma il tempo si affretta.
"Barbisa", "Pignatta", "Cucciolo", "Rino", "Brambilla" e "Brambillino", "Motta", "Bruno"; otto uomini, sette fucili!
La solita nuvolaglia vagabondeggia sui fianchi della Zeda. E comincia la sorte, "Brambillino" è il primo, dice che tutto il sangue gli va nello stomaco e prega "Brambilla" di finirlo. "Barbisa" bestemmia al nemico e lo ferma con il Mauser.
"Brambilla" nella sua buca è ferito, la sua voce stracca incoraggia "Brambillino" e dice della moglie che ha lasciato a Intragna il giorno prima, e del suo bambino che non ha mai visto. Il nemico spinge, rinuncia, torna da un'altra parte. E' la seconda volta che giunge alle baite...
Un colpo di mortaio scoppia fra "Rino" e "Pignatta" e tocca tutti e due.
Per forza spiega "Pignatta" è caduta lì.
"Motta" non si vede, non spara più, non parla. Tu hai sempre parlato poco, "Motta"!
"Barbisa" è già floscio e le palle lo bucano inutilmente. Più utili sono quelle che lo coprono di terra. La nebbia insensata scivola sulle anche dello Zeda, ricopre gli uomini con la sua ombra e risale incapricciata di vento. Agli uomini muore in gola il grido di speranza. "Cucciolo" spara e chiede a "Rino" che non ha mai visto, da dove capita. E' la terza volta che il nemico lascia le penne alle baite e i dieci caricatori a testa non basteranno a scaldare ancora per molto le armi. "Pignatta" s'è scrollato di colpo e da un po' non dice più "alé ragassi! ". La sua guancia si schiaccia sempre più sulla terra.
La quarta volta al nemico va bene. Tre uomini aggrappati l'un l'altro hanno gettato le armi fredde, sono sorti dalla terra e camminano contro il nemico.
"Cucciolo" ha due ferite, "Bruno" anche, "Rino" una spalla morsa dal mortaio. Il nemico rastrella armi e uomini: sette armi, otto uomini fra vivi e no. Dopo l'interrogatorio i nostri dicono che hanno sete. Due soldati li accompagnano. Un soldato richiama "Rino". "Cucciolo" e "Bruno" vanno a bere. Ritornano l'eco di una scarica e i soldati. Sette armi, sette morti.
Cavalleria militare perché uno fu risparmiato? Non so neanche dire se "Rino" abbia stimato tanta generosità nei vari lager che conobbe. Noi pensiamo come "Barbisa", che prima di morire aveva gridato:
- Ci ammazzano tutti quei porci e non sanno neanche perché.
Racconto di Giuseppe Perozzi "Marco" sulla base della testimonianza di "Rino" rilasciata al ritorno dall'internamento in Germania.
In Monte Marona n° 20 del 10 novembre 1945.
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