Una verde radura dove pascolavano delle capre
Il 23 giugno mi trovò assopito in un canalone, ma fui svegliato da strani rumori e vidi sbucare dai cespugli vicini quattro volti che non avevano più nulla di umano e che il destino aveva preservato dalla cattura. Erano i fratelli Castiglioni di Vogogna e due loro cugini. Ci abbracciammo fraternamente ed essendo loro pratici della zona, decisero di scendere il canalone e attraversare il torrente. Ma io ero giunto al limite delle mie forze e i miei compagni dovettero alternarsi nel trascinarmi, malgrado fossero essi stessi sfiniti. Considerando che anch'essi sarebbero presto rimasti completamente privi di forze e non volendoli sacrificare, li pregai di raggiungere da soli qualche baita e di mandare appena possibile degli alpigiani in mio soccorso.
A malincuore partirono e io rimasi di nuovo solo assopito non so quanto ancora. Avevo perso la nozione del tempo e di tutto.
Un violento temporale scatenatosi improvvisamente mi bagnò tutto, ma dopo qualche ora, riparato sotto gli alberi gocciolanti, in un nuovo tentativo di salvarmi a ogni costo, radunando le poche mie forze, strisciando ancora per parecchio tempo, giunsi al bordo di un ciglio e vidi una verde radura dove pascolavano delle capre. (L'alpe Serena ndr)
Era la salvezza! Era la vita che ritornava, perché pensavo che logicamente vicino alle capre ci dovevano stare i pastori e le baite, quindi l'aiuto.
Mi stavo trascinando verso un gruppo di baite, quando mi scorse un partigiano, un carabiniere di Premosello, che mi venne incontro e mi prese in braccio come fossi un bambino, portandomi fin dentro una baita, dove alcuni alpigiani stupiti e commossi nel vedere un simile relitto umano, si prodigarono per rifocillarmi, mentre io scoppiavo in un pianto dirotto.
Era il 24 giugno: il rastrellamento nella Val Grande era finito e i tedeschi stavano sgomberando la zona. Per tredici giorni quelle belve ci avevano dato la caccia riducendoci a un manipolo di superstiti.
Il comandante Superti, che nell'imboscata della Portaiola dopo un vivace scontro aveva potuto sganciarsi con pochi uomini, era giunto il giorno prima all'Alpe Crot e aveva cominciato a radunare i superstiti. Informato del mio salvamento mi mandò per mezzo di una staffetta una bottiglia di vino ristoratore, invitandomi a raggiungerlo. Sempre trascinato per mano, perché non avevo ancora ripreso forza, raggiunsi l'Alpe Crot di Sopra, vicino alla Colma.
Gianni Cella
Testimonianza in CHIOVINI N. Val Grande partigiana e dintorni Comune di Verbania, Comitato della Resistenza, 1980
|