La giustizia nella "Repubblica dell'Ossola"
E' da rilevare che nei quarantaquattro giorni di esistenza dell'Ossola libera non fu emessa alcuna condanna a morte.
Non vi fu dunque una giustizia vendicativa, e non ultima tra le ragioni cui lo si deve attribuire all'illuminata personalità di Ezio Vigorelli, cui due figli erano stati fucilati dai nazifascisti durante il rastrellamento di giugno.
Si voleva dimostrare al mondo che l'Italia era in grado di reggersi democraticamente, e di ciò l'Ossola di Tibaldi fu ripetutamente ricordata come una prova.
Bisognava evitare ogni ricaduta in un tipo di giustizia come la concepivano i fascisti, e nel giudicare era da usare la massima clemenza. In queste sue concezioni Vigorelli ebbe sempre il pieno consenso di Tibaldi, ma a non pochi partigiani questo atteggiamento, specialmente tenendo conto dei massacri compiuti dai nazifascisti, dava l'impressione di un tradimento. Ci fu qualche contrasto con il commissario alla polizia Colombo e con i comandanti di divisione Di Dio, Superti e Moscatelli, che accusavano Vigorelli di mollezza, ma uomini come lui o come don Cabalà volevano dare almeno un esempio di equanimità e alla fine vinse la linea Vigorelli. Di lui si ricorda che, durante un'ispezione a Druogno, sentendo gli internati segare legna al ritmo di "Du-ce, du-ce", esclamò: "No, il lavoro fatto controvoglia non ha alcun valore rieducativo!"
BERGWITZ H., Una libera repubblica nell'Ossola partigiana, Feltrinelli Milano 1979
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