AL SASSO DI FINERO -Valle Cannobina 12 ottobre 1944
Caduti: Alfredo Di Dio, Attilio Moneta.
Il giorno 10 ottobre, truppe nemiche con forze relativamente modeste attaccano verso le prime ore del mattino le posizioni partigiane sulla linea di sicurezza Ornavasso-Mergozzo-Bracchio con l'appoggio di un carro armato. Vengono respinte. Altra colonna risale la Valle del S. Bernardino e la Val d'Intragna provocando un arretramento della 85a Brigata Garibaldi.
Il Commissario politico del Comando Unico, Scarpone Paolo "Livio", in una relazione inviata al al Comando Generale delle brigate Garibaldi , descrivendo ciò che avviene dall'8 al 22 ottobre '44, fa, tra l'altro, presente che nei "giorni 11-12 l'attacco nemico si scatena in grandi forze, il punto più debole si manifesta nel settore controllato e difeso dalla divisione "Piave", nella valle Cannobina. Il fronte della "Piave" si schianta, si polverizza, scompare….
A tale proposito, Pippo Frassati interviene giustamente per precisare che: "…per tre giorni la divisione si logora in una serie di scontri sanguinosi, disputando palmo a palmo il terreno al nemico ed infliggendogli perdite fortissime… L'11 ottobre, dopo 10 ore di combattimento a Falmenta, i nazifascisti vengono obbligati a temporanei ripiegamenti. Ad aggravare la situazione accade che le mine collocate alla base dei ponti sulla strada… non brillano".
Nelle prime ore del 12 ottobre, 250 partigiani della "Valtoce" e della "Valdossola" si trasferiscono, dalle retrovie del fronte sud, a Finero e sui costoni laterali. Quasi contemporaneamente "preceduti da poderosa azione di fuoco con artiglieria e mortai e con l'impiego di notevoli forze (si calcola 3000 uomini)", i nazifascisti attaccano gli avamposti partigiani sul fronte Sud che "conformemente agli ordini ripiegano ordinatamente su… Bettola e Punta di Migiandone.
Le notizie che giungono, rincorrendosi, al Comandante "Federici", sono notevolmente contrastanti. Vi è chi comunica che: reparti della "Piave" e della 85a brigata "Garibaldi" - rimasti isolati nel Verbano nei due giorni precedenti - stanno attaccando con successo le truppe nazifasciste, liberando i paesi rivieraschi e che i nazifascisti, su dieci grossi automezzi, stanno ridiscendendo la Valle Cannobina per rifugiarsi in Cannobio. L'ultima notizia sembra essere confermata dal fatto che a Finero non vi sono tedeschi e che gli abitanti del Paese dichiarano di essere convinti che il nemico stia ritirandosi.
Nel susseguirsi di notizie e di "attacchi e battaglie avanzate e ritirate", il comandante "Marco" e i convenuti alla riunione tenuta nella notte fra l'11 e il 12 ottobre si assumono il compito di controllare la veridicità delle informazioni pervenute dal fronte della Cannobina. Partono da Malesco due macchine su cui salgono "Marco" e i suoi compagni; nei pressi di Finero incontrano la compagnia comando della "Valtoce" che si mette in marcia per seguire le due macchine che procedono, lentamente, oltre il Paese verso la galleria; poi la velocità delle due macchine aumenta e la compagnia-comando rimane presto distanziata di alcune centinaia di metri. "Marco" e i suoi compagni a 330 metri dalla galleria si fermano e proseguono a piedi fino al ponte. Mentre stanno guardando l'abisso che si apre sotto il ponte, interamente scomparso…, inizia, dal costone sovrastante la galleria, una sparatoria infernale con mitragliatori e mitragliatrici…"
I dieci uomini in avanscoperta, sorpresi dalla sparatoria, si buttano a terra addossandosi al muretto. La strada è stretta, da una parte vi è lo strapiombo, dall'altra la parete rocciosa; indietro non si può tornare se non portandosi allo scoperto. Organizzare la difesa in posizione come quella in cui si trovano i dieci caduti nell'imboscata, con il tipo di armi a disposizione (tre mitra, qualche pistola, alcune bombe a mano), è veramente impossibile. La colonna della compagnia- comando, quando ha inizio la sparatoria, si trova distanziata dalle due macchine di circa quattrocento metri e non può avvicinarsi per il susseguirsi incessante delle raffiche delle 20 mm. e dei colpi di sbarramento dei mortai che creano un muro invalicabile. Decidono di raggiungere le automobili. "Strisciando lungo il muretto, raggiungono la curva dove si trovano le automobili, attraversano la strada allo scoperto" tutti ce la fanno, salvo "Marco". I tedeschi concentrano il tiro sulle macchine che prendono fuoco.
"Marco", ultimo ad abbandonare il riparo del muretto, non appena allo scoperto, viene colpito alla gamba destra; si trascina al riparo della roccia ma, dagli squarci al ginocchio e alla coscia, perde molto sangue. Il "Cap. Franco", arditamente, attraversa la strada allo scoperto, riesce a raggiungere "Marco" e lo aiuta a tamponare, con fazzoletti, le ferite. Il col. Attilio Moneta, ritenendo che il "cap. Franco" non possa farcela da solo a trascinare "Marco" al sicuro, tenta di raggiungere i due compagni, ma viene colpito a morte e stramazza in mezzo alla strada. Intanto dietro al roccione, oltre la curva, rimangono solo il magg. Patterson e Gioacchino Cerutti; gli altri raggiungono un canalone e riescono ad allontanarsi e a mettersi in salvo. La compagnia - comando è immobilizzata sulla posizione iniziale. I tedeschi "..per un po' di tempo vanno avanti a sparare in tutte le direzioni con armi di tutti i tipi: prendono soprattutto di mira il bosco, forse per impedire di raggiungere il Paese… i tentativi per portarci avanti falliscono…. Non è possibile far nulla; "Carlo", il comandante della compagnia-comando, dà l'ordine di ritirata". L'avversario si muove verso il Sasso di Finero, ove il col. Moneta non dà più segni di vita e le macchine sono ormai ridotte a scheletri. Il nemico avanza sparando raffiche di mitra, mentre le batterie di mortai continuano a vomitare colpi sulla strada che porta a Finero.
Quando i tedeschi raggiungono il Sasso di Finero, "Marco" è ancora vivo e, se fosse immediatamente soccorso, lo si potrebbe salvare; il magg. Patterson e Gioacchino Cerutti vengono fatti prigionieri. Cerutti implora i tedeschi di soccorrere il Comandante della "Valtoce" ma ne ha un duro, incredibile rifiuto.
"Marco", il generoso comandante, muore dissanguato, per l'ingenerosità, per il rifiuto inumano di assistenza da parte di un feroce nemico.
"La notizia della morte del comandante Alfredo Di Dio", ricorda Cino Moscatelli "si diffonde in un baleno e provoca costernazione…era stimato per il suo coraggio e la dedizione alla lotta di liberazione".
MASSARA E., Antologia dell'antifascismo e della Resistenza novarese, Grafica Novarese, Novara, 1984
|