Cappella della Pace, 14 ottobre 1944
Caduto: Agostino Pasolini
La valle Anzasca è percorsa dal torrente da cui prende il nome, il torrente Anza. Alla cappella della Pace, che si affaccia su Piedimulera, una piccola squadra di garibaldini, al comando dell'ossolano Libero Solfrini, è in attesa che i fascisti raggiungano il ponte sull'Anza. La mitragliatrice è ben piazzata e il domese Agostino Pasolini, che ne è il portatore, è pronto a sparare contro il nemico. Finalmente! L'avanguardia nemica avanza sul ponte, canta la mitragliatrice di Agostino e sul ponte si fa immediatamente il vuoto.
Interviene l'artiglieria pesante da una prestazione piazzata ai margini della frazione Rumianca; dopo alcuni tiri di assaggio, la postazione partigiana viene centrata con assoluta precisione. Perde la vita Agostino Pasolini e rimane immobilizzato ferito alla gamba anche Solfrini, il comandante del nucleo partigiano.
I tre partigiani sopravvissuti non mollano, continuano a sparare con i loro fucili, cercando di evitare i colpi a vuoto, ma la loro posizione è sempre più difficile, perché i tedeschi avanzano nel tentativo di accerchiarli. Questa volta la fortuna aiuta i tre garibaldini; vengono raggiunti dal comandante "Moro" che, con un automezzo, riesce a portare in salvo loro e il Solfrini fino a Vanzone S. Carlo da dove, abbandonato l'automezzo e con un'altra squadra, si sale verso Monte Moro. Alle baite della Colla, a circa 2000 metri, si ferma la prima squadra di cui fanno parte anche Enrico Giudici e la sua sposa Anna Picari. Moro e le altre due squadre proseguono verso Alpe Meccia dove gli uomini, stanchi, trovano rifugio in alcune baite.
MASSARA E., Antologia dell'antifascismo e della Resistenza novarese, Grafica Novarese, Novara, 1984
Alpe Meccia, 22 ottobre 1944
Caduti: Benito Andreoli, Mario Bassi, Annibale Ceccon, Angelo Falsone, Giuseppina Fregonara, Mario Lana, Bruno Magnaghi, Luigi Magnaghi, Teodoro Picchetti, Anselmo Scomazzon.
È il risultato di una spiata ciò che avviene all'alpe Meccia il 22 ottobre 1944?.
Una colonna formata da reparti tedeschi e fascisti parte da Macugnaga e punta verso l'alpe dove sa per certo che ha trovato rifugio una squadra di garibaldini. In una baita dell'Alpe Meccia, Bruno Magnaghi, con la moglie Giuseppina Fregonara, in stato di gravidanza, e il fratello Luigi (il terzo dei fratelli si è rifugiato in Svizzera) sono alle prese con la cucina: valligiani hanno dato loro del latte e, con la polenta che i Magnaghi si sono portata nello zaino, il pranzo del mezzogiorno dovrebbe essere assicurato…..
Gli altri nove partigiani stanno riposando e chiacchierando in altre baite nella certezza che il nemico sia ancora ben lontano dall'alpe Meccia.
Poco prima delle undici, la colonna nemica raggiunge la zona delle baite e si dispone a semicerchio; poco dopo tedeschi e fascisti aprono il fuoco. Amabile Ceccon è il primo a buttarsi fuori dalla baita ed è il primo a cadere colpito dalle raffiche dei mitra. Il Comandante Moro e il partigiano Scognamiglio escono contemporaneamente, sparando all'impazzata contro i tedeschi che hanno quasi raggiunto lo spiazzo delle baite; si infilano in un canalone e riescono a sottrarsi alla vista del nemico. Per gli altri partigiani non vi è possibilità di resistenza: alle ore undici e quindici dinanzi alle baite giacciono i corpi inanimati di Benito Aureoli, Mario Bassi, Angelo Falsone, Mario Lana, Bruno e Luigi Magnaghi, Teodoro Picchetti, Anselmo Scomazzon. Il corpo di Giuseppina Fregonara viene trovato "colpito in più parti proprio sul mucchio di letame".
Il giorno seguente, dai cascinali non lontani dall'alpe Meccia, vengono prelevati, dai tedeschi, numerosi valligiani (circa una ventina) e vengono accompagnati sul luogo del massacro. I partigiani uccisi, mani e piedi legati ad una pertica, come belve uccise in un safari, vengono trasportati dai valligiani a Macugnaga e, per ordine dei tedeschi, allineati sulla strada, all'ingresso del paese.
MASSARA E., Antologia dell'antifascismo e della Resistenza novarese, Grafica Novarese, Novara, 1984
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