L'eccidio di Beura
Un mattino giunse un gruppo di fucilatori: prelevò i prigionieri e, portatili su un prato tra Cosasca e Beura, li fucilò in pochi minuti. Lo seppi per caso: incontrai un uomo che piangeva come un bambino e seppi da lui che verso Beura avevano fucilato dei prigionieri.
Corsi a casa, infilai la bicicletta e in pochi minuti fui sul luogo dell'eccidio. Poche persone ancora atterrite mi dissero che le vittime erano state portate al Cimitero di Beura e mi indicarono il luogo dove il sacrificio era stato compiuto. Mi avvicinai trepidante: tutto esalava il dramma doloroso: l'erba calpestata, grumi di sangue, manate di cervella e mosche avide e inconsce.
Mi avvicinai verso Beura mentre cominciava a piovere. Trovai 9 uccisi allineati nella cappella del Cimitero … La buona gente non aveva potuto fissare quei volti pallidi, quelle bocche aperte, quegli occhi enormemente sbarrati e fissi e li aveva coperti con brancate di erba fresca. Li guardai ad uno ad uno: mi feci l'impressione che erano stati colpiti da vicino e alla nuca, per questo istintivamente si erano loro spalancati la bocca e gli occhi: erano tutti vestiti male e quasi scalzi, privi di documenti: ricordo una donna piccolina con scarpette di stoffa, un giovane con capelli rossicci, fini e ancora irti. Ripulii alla meglio i loro volti, e ricopertili tutti con lenzuola che la gente aveva portato, li benedissi.
PELLANDA L., L'Ossola nella tempesta, Grossi Domodossola 1985
|